È trascorso più di un mese dalla partenza da Capetown. Esattamente alle 10 del 2 dicembre ho mollato gli ormeggi del Royal Cape Yacht Club, con un gran senso di nostalgia che mi accompagnava, dopo quasi due mesi, davvero piacevoli, passati in porto.
Ma ho ritrovato in fretta i ritmi ed il piacere di stare in mare giorno e notte e, complice una condizione meteorologica molto stabile e caratterizzata dal costante aliseo di sudest e temperature via via sempre più miti, fino ad essere definibili calde e molto calde in queste ultime due settimane, ho passato decisamente molto più tempo all’esterno, sul ponte e in coperta. Ad osservare, a contemplare. La sintonia con la barca è ormai totale o quasi. È giusto dire “quasi” perché usare termini troppo assoluti è sempre segno di quella arroganza, che mi piace chiamare Hubrys in senso omerico , che questo viaggio ha sicuramente contribuito riconoscere sempre più spesso nel mio modo di vivere e pensare e, credo, a far diminuire molto.
Che ne so infatti, a ben guardare, se la sintonia è totale….quando ancora due giorni fa ho ragionato su una soluzione da adottare per rendere ancora più efficace la funzione del boma? E che una volta messa in pratica ha funzionato benissimo! Quindi un minuto prima, che già mi sentivo “totalmente ” in sintonia con la barca e l’attrezzatura, evidentemente ancora non lo ero….Sembrano oziosi questi ragionamenti ma vi assicuro che mi aiutano a tener sempre ben presenti le cose.
L’ultima settimana, che è stata quella del passaggio dell’Equatore, poi, mi ha ricordato il piacere delle lunghe guardie notturne poiché ho attraversato – e ancora non so se è completamente passata – la zona nota come Pot au noir. Con i suoi caratteristici improvvisi colpi di vento, temporali e tempeste di fulmini. Tutti e tre molto ben rappresentati durante questo passaggio! 😊
Tre giorni fa, in una situazione di estrema tranquillità, con 8 nodi di vento da Est e cielo completamente sgombro e stellato, verso mezzanotte dal letto ho sentito la barca partire all’orza, improvvisamente! Nemmeno il tempo di indossare la giacca della cerata…la barca continuava ad inclinarsi , spinta dalla mano del gigante, fino a 60 gradi forse più. Avevo tutte le vele a riva, era necessario ridurre la velatura o ci avrei rimesso qualcosa…e in queste situazioni é all’albero che corrono immediatamente i pensieri. Allora, rapido ragionamento ad esclusione: dalla cosa meno importante da sacrificare per la sicurezza complessiva del “sistema”: lasca completamente la randa, poco male se sbattendo si straccerà . Ne ho altre due! Rapido sguardo all’anemometro : 35 nodi! L’acqua piovana era un’unica continua secchiata. Ho potuto separare il pensiero, che ricordo, di quanto fosse calda: meno male perché avevo addosso solo i boxer del pigiama estivo.
Tutto buio, nero come la pece. Altro pensiero: non ci sono fulmini, meglio! Molto meglio…non ho bisogno di luce per lavorare in coperta. E sicuramente non di quella delle saette a pochi metri da me. Tutto a memoria, non si vedeva nulla: via le quattro spire dal winch del Genoa e recupero della scotta dell’avvolgifiocco . Ne viene un terzo , tirato a mano nuda coi piedi puntati contro l’impavesata di sinistra. Perché non viene più?…sento che il circuito è libero, non c’è motivo perché non si riavvolga.
O meglio c’è, ma il pensiero del guasto o di un’avaria al tamburo del vecchio Bamar o ad una rottura del profilo di alluminio lo caccio con forza.
A memoria….l’unica è avvolgere la scotta sul grosso winch del genoa…a memoria, sapevo dov’era la maniglia. Via in presa diretta…non ce la faccio.
Capisco perché non si muoveva tirando a mano : semplicemente i muscoli delle braccia avevano salutato il pubblico e si erano messi a riposo.
Allora via a girare in demoltiplica e lentamente , finalmente, il genoa si comincia ad avvolgere, e man mano che la superficie della vela esposta al vento diminuisce si riposano anche i muscoli delle braccia e quindi l’ultimo terzo lo finisco di “far su” di nuovo girando sul winch in “presa diretta” e quindi molto velocemente. Forse sta cominciando a passare, non riesco a riguardare l’anemomentro perché sono gia all’albero. Incredibile: l’albero di Tatí è nero, ma nel nero della notte è perfettamente visibile.
E di nuovo le mani che si spostano e che trovano al primo colpo quello che cercano: la drizza della randa perfettamente addugliata scorre veloce nello stopper che ho aperto con un solo gesto e la randa precipita rapida sul boma. Salgo in piedi sulla zattera autogonfiabile per recuperarne gli ultimi due metri e soprattutto mettere in sicurezza la drizza prima che il vento, trovandola in bando, la faccia passare dietro la crocetta o, peggio che mai, al di là della luce di coperta, come già tre o quattro volte mi è successo in passato. Che è un discreto guaio…
Per quanto posso vedere, la vecchia randa è intera, ma controllerò con calma domattina con la luce del giorno. Adesso disponiamola in ordine sul boma assicurandola con gli elastici perché non faccia presa al vento.
Il vento cala rapidamente, ormai non saranno più di 15 nodi. Decido che la trinchetta può rimanere issata: dà stabilità di rotta ed interrompe il rollio della barca.
Ha smesso di piovere…sono sicuro che non son passati più di dieci minuti da quando son saltato giù dalla cuccetta e la mente non fa altro che ripercorrere tutte queste rapide sequenze. Una, due, tre volte….sempre più nel dettaglio.
E un po’ si compiace perché tutto ha funzionato. Tutte le scotte in chiaro, tutti gli insegnamenti fondamentali rispettati. Un episodio, tutto qui. Azioni per i prossimi giorni: continuare nelle cose fatte correttamente e passare molto più tempo di guardia di notte. Fissare i turni di due ore o meno se necessario.
E così sto facendo da allora. E ieri ancora, ma stavolta anticipando tutto finché c’era la “quiete prima della tempesta”. Ho ammainato tutto, tranne la trinchetta, ed ho atteso….che il mostro con i capelli scintillanti di fulmini questa volta, passasse tranquillamente sopra di me e si disperdesse al largo a sudovest.
Ah, del primo temporale la conta dei danni ha registrato la rottura della prima stecca in alto della randa (sostituita) e la scheggiatura molto fastidiosa dell’unghia del mio alluce sinistro. Sopravviveremo , sia la randa che il mio alluce!
Adesso vi sto scrivendo da quasi 6 gradi di latitudine Nord ed oggi c’è un bel vento da Nordest: almeno 20 nodi reali che diventano venticinque apparenti affrontati di bolina larga.
Ho appena dato la seconda mano di terzaroli alla randa ma sto continuando a lasciare il genoa e la trinchetta.
La barca è ovviamente parecchio sbandata ma molto equilibrata e l’onda piuttosto lunga e coerente ancora al vento di est dei giorni scorsi, si lascia cavalcare senza far sbattere troppo lo scafo. Si filano tranquillamente 7 nodi di media. Se continua così però affronterò la notte con lo yankee, riavvolgendo il genoa per prudenza. Ho ancora troppe miglia da percorrere e non voglio farmi prendere da malsane euforie
E come regalo delle fatiche e delle piccole pene di questi giorni, verso mezzogiorno un enorme capodoglio a poche decine di metri sulla dritta. Nero e maestoso.
È la prima volta che ne vedo uno. Fatiche già dimenticate
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