In questi mesi di preparativi, viene sempre più spesso alla luce il mio progetto.
È da circa un anno e mezzo, cioè da quando trovandomi in vacanza sulla costa francese ho fortuitamente acquistato un numero di Voile&Voiliers nel quale compariva un articoletto sulla Longue Route 2018, in realtà che mi sto preparando e sto preparando la barca per questo viaggio: ma quasi nessuno ci credeva…
Adesso che mancano pochi mesi, coloro che non ci credevano cominciano a realizzare. E a preoccuparsi; più di me! Un amico mi ha fatto ridere perché ha espresso la propria preoccupazione con un sincero e disarmante: “Oh, ma sei matto: tu rappresenti per me circa il 50% del mio fatturato!”
Un’altra amica ritiene, insieme col marito, che stia affrontando questa cosa in maniera eccessivamente “naif”. Che poi è lo spirito giusto se ci pensate 😉 E mi massacra i… pranzi (pranziamo spesso insieme) con dei terzi gradi che neanche Maigret: “Allora: hai l’Epirb?” “Sì, ce l’ho”; “E la cerata per i climi estremi?” “Ho preso il top della… [nome marca]”; “E la muta stagna di sopravvivenza? E la life-line? E l’ancora galleggiante? E non monti il timone a vento?? Aaaargh: pazzo!”… E il pranzo non lo digerisco che neanche col Maalox…
Allora ho pensato questo, a beneficio di tutti i miei cari ed i miei amici: ho contattato Elisabetta Eordegh che con la consueta gentilezza mi autorizza a pubblicare un passo tratto dal suo libro “Sotto un grande cielo” (che consiglio a tutti di leggere 😉 ) scritto insieme con Carlo Auriemma. E’ il brano che narra la traversata dell’Oceano Pacifico (ragazzi: il Pacifico, non il Lago di Como!) da parte di Alberto, un argentino di 35 anni (nel 1989) a bordo di Ave Marina, una canoa in legno di 4,5 metri con una vela latina. Quattrovirgolacinquemetri! Se esiste gente che fa cose così, i miei amici posso stare decisamente più tranquilli. E anch’io. Buona lettura:
“Papeete, Baia di Matavai…
Le barche a vela sono tante, un centinaio forse, grosse e meno grosse, nuovissime e vecchiotte, che indossano tutti i colori e le bandiere del mondo. Ma proprio in fondo alla fila, prima del ponticello su quello che un tempo era un torrente, c’è una cosa che in un primo tempo non avevamo nemmeno riconosciuto come barca, tanto è piccola e insolita.
I suoi documenti, se ci fossero, direbbero:
Lunghezza fuori tutto: 4,5 metri
Materiale: Tronco scavato
Armamento: Un albero che sembra un gran bastone tenuto da tre cavi di canapa
Proprietario: Alberto, argentino
Motore: due remi sproporzionati
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Ecco la sua storia: Alberto, argentino, ha 37 anni. Da quando ne aveva 15 vive sul mare. Ha vissuto in Brasile, in Colombia, in Papua Nuova Guinea e a Panama. Ha la passione delle canoe ed in ogni luogo dove ha vissuto ha fatto in modo di navigare con quelle del posto, il più delle volte con mezzi e metodi talmente semplici da risultare quasi incredibili, anche a chi, come noi, li ha visti con i propri occhi. Questa volta la barca di Alberto è una canoa semipontata, lunga 4,5 m. e larga 1,5 m disegnata da lui stesso e realizzata con l’aiuto di tre indios in un’insenatura del Golfo di Panama.
La costruzione dello scafo ha richiesto un tronco d’albero (iroko) del diametro di 1,5 m e tre settimane di lavoro con l’ascia e con il fuoco. Altre tre settimane ci sono volute per fare il piccolo albero, per pontare un terzo dello scafo e per fissare il timone: due mesi in tutto e l’imbarcazione è pronta. Poche uscite nel Golfo di Panama dimostrano che l’Ave Marina naviga bene. La quasi totale assenza di chiglia la rende manovriera e sensibile al timone
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Nelle andature di poppa la randa tolta dall’albero e passata a proravia si trasforma in una specie di vela quadra che permette alla Ave Marina di mantenere la rotta senza timone, il che è vitale per una barca condotta da un solitario.
Tutto ciò può sembrare troppo semplice, comunque sia Alberto lascia Panama il 2 marzo alla volta delle Galapagos (900 miglia) dove arriva senza problemi dopo 18 giorni di traversata. Qualche settimana di sosta e poi di nuovo in mare per le 3000 miglia fino alle Marchesi…
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Impiegherà 37 giorni (noi ne abbiamo impiegati 22) ed arriverà magro, ma in discrete condizioni. “Il muesli, i pesci volanti, due tonni presi alla traina e i molluschi che crescevano sotto lo scafo mi hanno tenuto in vita durante la traversata. All’arrivo avevo una gran fame ma tutto sommato mi sentivo in forma, conclude il racconto. Dopo le Marchesi un giro nelle Tuamotu e infine Papeete, dove ai funzionari della dogana che gli chiedono il libretto della barca Alberto si limita a mostrare un’istantanea dell’Ave Marina..
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Mentre Alberto racconta, il sole tramonta dietro i picchi di Moorea, in un paesaggio che sarebbe splendido se solo non si sentisse il rumore del traffico nel viale e l’Ave Marina se ne sta tranquilla a dondolare vicina ai nostri poveri yacht, dotati di radar e SatNav, di questo e di quello e ha l’aria di prenderci in giro tutti, con la sua sola presenza, noi e il nostro modo di andar per mare in carta patinata.
Ma per quanto mi riguarda dico grazie ad Alberto e alla sua barca, anche se un po’ a denti stretti, grazie, anche se con un pizzico d’invidia.
E’ ai limiti estremi del possibile che l’uomo incontra il cielo. Loro, Alberto e la sua barca, sono necessari, sono come una boccata d’aria fresca in una stanza surriscaldata.
Ma allora attraversare gli oceani è così facile?
Ciascuno risponda a modo suo, ma prima guardi un momento la foto dell’Ave Marina. La risposta è tutta lì, in quella barca improbabile e nel sorriso da finto ingenuo del suo comandante.”
Io credo che per queste cose vale la regola: se uno se la sente dal di dentro che può farcela allora ce la farà. Questo ovviamente dopo aver soppesato tutte le difficoltà. Un tipo come Donald Crowhurst non solo era un insicuro ma non aveva neppure valutato a fondo tutto ciò che avrebbe incontrato e ciò di cui avrebbe avuto bisogno.
Comunque per onor del vero l’esempio di Alberto (che non è certo il solo ad aver fatto cose del genere) non può essere portato parlando di giro del mondo, specie per i tre capi. Una traversata oceanica richiede attrezzature, resistenza, approvvigionamenti molto minori di un giro del mondo. Inoltre il pacifico non è certo il lago di Como ma tutti quelli che l’hanno attraversato sulla rotta degli alisei hanno detto che era stata una traversata tranquilla. Ben diverso ovviamente il passaggio per i tre capi…